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giovedì 4 aprile 2013

Manna e miele, ferro e fuoco

  "Si sedette davanti allo specchio, sciolse le trecce, e spazzolò i ricci sciolti sulle spalle magre, indossò una camicia morbida e, infilandosi sotto le coperte, si preparò ad accogliere don Francesco. Cercò nel buio di scaldarsi soffiando sulle mani. L'attesa si protraeva, e lei cominciò a giocare com'era solita fare tutte le sere nella sua stanza prima di addormentarsi. Mosse veloce le gambe e scalciò in ogni direzione, esplorò il letto scivolando sulla pancia come un serpente, dimenticando completamente perché era lì. E quando di colpo si ricordò del marito arrossì: cosa avrebbe potuto pensare don Francesco se l'avesse vista in quel momento? Riguadagnò la sua parte di letto, poggiò la testa sui cuscini, lisciò il lenzuolo finché non scomparvero tutte le pieghe,  poi con le braccia poggiate sul risvolto rimase ferma ad aspettare, ripetendo a mente le raccomandazioni che aveva ricevuto dai genitori. Il soffitto affrescato con un volo di colombe le ricordò il cielo di contrada Malìa... e allora (...)".

  Qualcuno mi urtò. Mi voltai e intravidi la schiena di un cliente stretto in un cappotto grigio. Ripresi fiato emergendo dalla lettura e immediatamente mi rituffai fra le pagine, incurante dello sguardo di disappunto del commesso. Non ricordavo più dov'ero nemmeno io e raggiunsi Romilda alla villa di Francesco Ventimiglia ancora una volta.

  " - Che scimunita! Quasi mi dimenticavo! - esclamò colpendosi la fronte con il palmo della mano. Quindi frugò tra le sue cose accatastate in un angolo della camera e corse di nuovo al suo posto. Con gli occhi fissi alla porta, sollevò prima il lenzuolo, poi la camicia, e si affrettò a sbriciolare un cannolo di manna tra pollice  e indice. Fece cadere quella polvere bianca tra le gambe, su quella parte che le era permesso solo pensare e mai nominare."
  Richiusi le pagine, quasi a custodire un segreto, mentre le luci spente della libreria mi invitavano ad uscire. Mi ritrovai di nuovo in quel centro commerciale dove tutto appariva anonimo. Il segreto di quella manna sbriciolata tra le gambe, però, mi rimase nella testa e nel cuore.
  Molto tempo e molti libri dopo, stavo svolgendo una ricerca per il mio prossimo romanzo, sentivo che non avrei potuto continuare a ricostruire i fatti della vicenda alla quale stavo lavorando, se prima non avessi recuperato la storia di Romilda, ammaliatrice d'api  e mannaluora e Francesco Ventimiglia, barone di Gangi.
  Ritrovai il volume in un'altra libreria anonima di un altro centro commerciale, questa volta in Sicilia. Ne divorai avidamente ogni pagina, trovando più di ciò che mi aspettavo e molto di ciò che mi serviva: le Madonie sarebbero state la mia tappa successiva. Non avrei potuto resistere al desiderio di assaggiare la manna di Castelbuono. D'altronde, le ricerche sul mio personaggio mi conducevano proprio lì. Cosa avvenne dopo non posso ancora svelarlo, ma in compenso vi racconto qualcosa su Giuseppina Torregrossa e il suo Manna e miele, ferro e fuoco.

  Giuseppina Torregrossa è nata a Palermo nel 1956 e vive fra la Sicilia e Roma, dove ha esercitato per vent'anni la professione di ginecologa. Ha collaborato con articoli di divulgazione scientifica a riviste e quotidiani e ha ricoperto diverse cariche nell'ambito della associazioni di utenti (fra le quali: responsabile del programma di prevenzione dei tumori dell'apparato riproduttivo nel carcere femminile di "Rebibbia" e di Termini Imerese) e negli organismi istituzionali di pari opportunità.  
  Dalle pagine dei suoi romanzi emerge il carattere di una donna appassionata, innamorata del suo lavoro, del mistero del corpo femminile, della vita e di quel particolare legame fra madre e bambino che si rivela in alcuni passi di questo libro. Manna e miele, ferro e fuoco è il ritratto di una Sicilia ferale, a volte magica, a tratti feroce.  Il destino di Romilda, bellissima fanciulla, con poteri straordinari che le permettono di essere in sintonia con la natura e con le api, con le quali riesce a comunicare telepaticamente, allevata per ereditare i mestieri antichi e segreti della madre e del padre, si intreccia con quello del barone Francesco Ventimiglia, che si invaghisce di lei ancora bambina e la prende in sposa.
  Quello della Torregrossa è, fra i suoi vari aspetti, anche un romanzo di formazione. Dopo la dolcezza del miele, Romilda conosce la crudeltà del ferro e del fuoco che la vita sa infliggere. Questo la trasforma psicologicamente e fisicamente. Romilda si perde, per poi ritrovarsi.

  Sullo sfondo le lotte per l'unità d'Italia e la questione del latifondo. Su tutto però è il sopravvento dei cicli della natura e del corpo femminile, che guidano sapientemente al risveglio della primavera, all'armonia, fino a luglio, al dolcissimo pianto dei frassini: gocce di manna sulla terra.

2 commenti:

  1. Ho già letto questo libro e ne sono rimasta affascinata, un buon monito per noi donne e poi mi ha fatto scoprire la manna...


    Giuliana

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  2. Ciao Giuliana! Se ti interessa e ti capita di trovarti in zona, Castelbuono è la città della manna. Ti consiglio un giro anche per la fortezza medievale, quella in cui, come è descritto nel libro, sono custodite le reliquie di S.Anna. ;)

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